Quando un arto diviene un fantasma?
C’è un effetto “illusorio” della mete che prende il nome di “sindrome dell’arto fantasma”, ossia quella sensazione inconsueta di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo, per svariati motivi, è divenuto insensibile: le persone affette da questa patologia, in pratica, avvertono la posizione dell’arto in questione, provano sensazioni dolorose e movimenti come se questi fosse ancora presente. La particolarissima sensazione, assolutamente normale e non rientrante in nessun tipo di problema psichico, è strettamente collegata con il meccanismo della propriocezione (capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei muscoli, senza il supporto della vista).
Un possibile spiegazione al fenomeno è che alcune aree della corteccia cerebrale deputate alla gestione dell’arto in questione ed ancora attive allaccino connessioni con l’area interessata dalla rescissione, facendo quindi avvertire al soggetto sensazioni tattili e/o termiche. Nell’encefalo umano, in particolare nella neocorteccia post-centrale, sono presenti differenti mappe corporee organizzate topograficamente e sensibili alla stimolazione tattile, termica, cinestesica e dolorifica.
Il fenomeno dell’arto fantasma resta una manifestazione di difficile comprensione e le terapie non sempre risultano funzionali a dei progressi. Ad oggi, uno dei metodi sperimentali più utilizzati per fronteggiare il disagio è quello della “mirror box” del neurologo indiano Vilayanur S. Ramachandran: per quanto singolare, l’utilizzo di una semplice scatola dotata di uno specchio che da al paziente in questione l’impressione di vedere il proprio arto fantasma nell’immagine riflessa dell’arto sano, ha portato numerosi benefici.