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manie di perfezionismo

Quando le manie di perfezionismo portano la depressione

Le manie di perfezionismo sono la nota negativa di una qualità che altresì in genere viene considerata positivamente ossia: il perfezionismo sinonimo di cura dei dettagli, impegno e determinazione.In realtà, quando le manie di perfezionismo diventano eccessive, però non sono assolutamente un tratto funzionale, ma queste possono trasformarsi in un ostacolo vero e proprio al proprio benessere psicologico.

Una ricerca pubblicata dal Journal of Social and Clinical Psychology ha analizzato la dinamica che sussiste tra le manie di perfezionismo e la depressione, mostrando come avere un bisogno costante di raggiungere degli standard irrealistici è uno dei fattori che di frequente apre la strada all’insoddisfazione, alla disconnessione sociale e un forte senso di isolamento.

Manie di Perfezionismo e depressione: un legame più stretto di quanto si pensi

La psicologa Katerina Rnic, autrice principale dello studio, spiega come l’idea stessa di perfezione sia profondamente ambivalente: da un lato viene premiata culturalmente perché associata al successo, dall’altro è un terreno fertile per insicurezze, frustrazione e umore depresso.

Il modello teorico su cui si basa la ricerca – chiamato PSDMPerfectionism Social Disconnection Model – mostra come il perfezionismo, qualunque forma assuma, tende a indebolire i legami con gli altri, creando quella sensazione di non appartenenza che spesso anticipa lo sviluppo della depressione.

Se è vero che lo stress interpersonale rappresenta una delle cause più comuni di disturbi dell’umore, diventa più chiaro come il perfezionismo non sia solo un “peso personale”, ma anche un filtro che altera il modo di vivere le relazioni.

Pretendere troppo da sé stessi o dagli altri significa muoversi continuamente dentro un registro di valutazione e confronto, che non lascia spazio alla spontaneità e al riconoscimento reciproco.

-> Scopri anche come Depressione e perfezionismo si autoalimentano. 

I diversi volti delle manie di perfezionismo

Lo studio di Rnic distingue tre principali tipologie di manie perfezionismo, ciascuna con effetti specifici. Questi sono:

  • Perfezionismo egocentrico: riguarda chi pretende la perfezione soprattutto da sé stesso. È la forma più conosciuta e spesso confusa con la “semplice ambizione”. Chi la sperimenta vive però un continuo senso di inadeguatezza, poiché gli standard interni sono talmente alti da risultare irraggiungibili.
  • Perfezionismo orientato agli altri: si manifesta in chi trasferisce le proprie aspettative su familiari, amici o colleghi, pretendendo che anche loro siano impeccabili. Questa dinamica non solo crea tensioni, ma riduce drasticamente la capacità di provare empatia e di mantenere rapporti autentici.
  • Perfezionismo socialmente prescritto: riguarda invece chi è convinto che gli altri si aspettino da lui o da lei standard di perfezione. È una forma spesso legata alla paura del giudizio, che genera ansia e comportamenti difensivi.

Oltre a queste categorie, i ricercatori hanno osservato alcuni comportamenti tipici dei perfezionisti: dalla tendenza a promuovere attivamente i propri successi per guadagnare approvazione, alla paura di mostrare o ammettere i propri errori, fino all’evitare qualsiasi attività che possa esporre a fallimenti o critiche. Tutte modalità che finiscono per rinforzare la solitudine e l’autoesclusione.

Perché non si smette, nonostante i danni

Un aspetto interessante emerso dallo studio è la persistenza con cui molte persone continuano a coltivare atteggiamenti perfezionistici, pur riconoscendone i costi sulla loro salute mentale. La spiegazione sta nel fatto che il perfezionismo offre anche vantaggi apparenti: chi è molto esigente con sé stesso spesso appare motivato, determinato e affidabile, ricevendo conferme esterne che ne alimentano l’autostima.

È questo meccanismo di rinforzo positivo a rendere difficile rompere il circolo vizioso, perché la persona sperimenta contemporaneamente sia il dolore della disconnessione che la gratificazione del riconoscimento. In altre parole, il perfezionismo diventa una gabbia dorata: ci si sente logorati dall’interno, ma allo stesso tempo si ha paura di abbandonarlo perché è proprio ciò che sembra garantire valore agli occhi degli altri.

Allenarsi a sbagliare: un antidoto contro il perfezionismo

Come spezzare questo meccanismo? Rnic suggerisce un approccio pratico, fatto di piccoli esperimenti quotidiani. Si tratta di esercitarsi intenzionalmente a commettere errori, a lasciare le cose incomplete o imperfette, e osservare le conseguenze reali. L’aspettativa catastrofica – “sarò giudicato”, “perderò credibilità”, “nessuno mi accetterà” – quasi mai corrisponde alla realtà.

Molte persone restano sorprese nello scoprire che nulla di drammatico accade, e che anzi l’imperfezione può aprire a un senso di leggerezza e libertà difficilmente immaginabili.

Un compito lasciato con una piccola imprecisione, una frase pronunciata senza averla ripassata dieci volte, un vestito indossato senza la ricerca maniacale del dettaglio: sono esempi banali che però possono restituire il contatto con la vita reale, fatta di sfumature e non di assoluti.

Accanto a questo, diventa utile riflettere su come il perfezionismo abbia inciso concretamente nella propria vita. Se abbandonarlo consentisse di avere più tempo per le attività piacevoli, di vivere relazioni più distese o di affrontare i compiti senza blocchi, varrebbe la pena accettare un margine di imperfezione.

Perfezione apparente e disconnessione reale

Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda la dimensione sociale. Il perfezionismo, soprattutto quando è socialmente prescritto, è strettamente collegato alla percezione del giudizio altrui. Vivere con la convinzione di dover essere impeccabili per essere accettati porta a una continua rappresentazione di sé, come se la propria immagine pubblica fosse più importante della propria realtà interiore.

Questo atteggiamento genera inevitabilmente un senso di distanza dagli altri, perché le relazioni si basano sulla presentazione di una “maschera” e non sull’autenticità. La disconnessione sociale non nasce solo dalla paura di sbagliare, ma anche dall’impossibilità di mostrarsi per ciò che si è realmente.

Accettare di non essere impeccabili non equivale a rinunciare alla qualità o all’impegno, ma a liberarsi da un vincolo che impoverisce la vita affettiva ed emotiva.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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