Per gli adolescenti, soprattutto oggi, lo smartphone non è solo un oggetto ma è una vera e propria estensione del corpo, uno spazio privato, una forma di identità. La dipendenza da internet in adolescenza proprio per il legame tra i giovani e il loro smartphone e/o PC, è diventata sempre più diffusa.
Infatti, oggi i ragazzi accedono a contenuti, relazioni e conferme in tempo reale, tuttavia, c’è un punto critico che non può essere ignorato: quando l’esperienza online diventa rifugio esclusivo, e tutto il resto: il corpo, la scuola, le relazioni, il tempo, si scolora, si sta andando oltre l’uso.
Un fenomeno difficile da definire, ma impossibile da ignorare
Parlare di “dipendenza da Internet” in termini clinici significa avventurarsi in un territorio ancora in evoluzione, in quanto oggi non esiste, ad oggi, una definizione univoca, né un parametro che stabilisca cosa sia davvero un uso eccessivo.
Ogni adolescente vive un equilibrio diverso tra il mondo online e offline, e ciò che per uno è un’abitudine, per un altro può rappresentare una forma di evitamento emotivo.
Non si tratta soltanto di contare le ore davanti allo schermo. Il vero campanello d’allarme è l’impossibilità di staccarsi.
È quando la rete diventa l’unica fonte di gratificazione o di regolazione emotiva, quando ogni alternativa come dormire, mangiare, uscire, studiare, perde di significato. Ed è lì che il comportamento, prima solo abitudinario, comincia a somigliare a un sintomo.
I segnali della dipendenza da internet negli adolescenti
Alcuni comportamenti, se isolati, non indicano per forza una patologia, ma quando si presentano in combinazione, con una certa frequenza e intensità, richiedono attenzione.
Tra i segnali più ricorrenti:
- Alterazione del ritmo sonno-veglia, spesso legata alla connessione notturna.
- Irritabilità o ansia quando manca l’accesso alla rete.
- Perdita di interesse per attività non digitali, anche quelle precedentemente amate.
- Tendenza a mentire o minimizzare il tempo trascorso online.
- Isolamento progressivo dal contesto sociale reale.
Il problema non è solo il tempo online, ma il fatto che questo possa diventare l’unico luogo in cui l’adolescente si sente visto, accettato, valorizzato o semplicemente “al sicuro”.
Dipendenza da internet come specchio dell’identità
Per molti adolescenti, Internet non è uno strumento neutro, ma uno spazio di definizione personale. I social non sono solo luoghi dove “stare”, ma contesti in cui esistere agli occhi degli altri. Il proprio valore si misura in interazioni, visualizzazioni, apprezzamenti. In una fase della vita in cui l’identità è ancora in costruzione, questo meccanismo può diventare tanto affascinante quanto spietato.
I ragazzi che si sentono inadatti o non all’altezza, troppo poco belli, troppo poco popolari, troppo poco “qualcosa” tendono a ritirarsi. E quando il mondo offline diventa fonte di frustrazione o di vergogna, la realtà virtuale si offre come un’alternativa più semplice, meno esposta, più controllabile.
Ma questa ritirata, inizialmente rassicurante, può trasformarsi in trappola. La stanza diventa un rifugio, lo schermo un muro. Ed è così che, in alcuni casi, si arriva a forme di isolamento estremo, come quello osservato nei quadri simili alla sindrome Hikikomori.
La differenza tra sintomo e causa
È importante chiarire un punto spesso frainteso: non è la rete a causare la sofferenza psicologica. Piuttosto, Internet può diventare lo sfogo o il contenitore di un disagio preesistente. In molti casi, l’uso eccessivo del web è la conseguenza di difficoltà relazionali, bassa autostima, esperienze di esclusione o dinamiche familiari disfunzionali.
Per questo motivo, intervenire significa guardare oltre lo schermo, non si tratta solo di “togliere il cellulare”, ma di comprendere cosa rappresenta, cosa copre, cosa offre e cosa evita. È una questione educativa, ma anche clinica, che richiede uno sguardo attento, non moralista.
Il ruolo degli adulti: presenza, ascolto e confini
Il primo antidoto alla dipendenza non è un divieto è creare una relazione. I genitori, gli insegnanti, gli adulti di riferimento devono poter offrire una presenza reale, costante, capace di accogliere le fragilità senza giudizio. Non serve conoscere ogni app, ma essere disposti a interessarsi davvero: a chiedere, a comprendere, a condividere.
Alcune azioni pratiche possono essere utili:
- Informarsi sul mondo digitale dei figli, senza invadere, ma con curiosità autentica.
- Stabilire regole chiare sull’uso dei dispositivi, da rinegoziare nel tempo.
- Creare occasioni di condivisione offline, senza renderle un obbligo punitivo.
- Offrire uno spazio di ascolto in cui l’adolescente possa sentirsi accolto anche nei suoi lati più fragili.
Quando i segnali di disagio diventano più marcati, è opportuno considerare un percorso psicologico. Lo psicoterapeuta non è un censore né un controllore, ma una figura con cui costruire uno spazio protetto, dove l’adolescente possa ricominciare a esplorare sé stesso senza dover passare per uno schermo.
Quando serve un aiuto professionale?
Se il mondo online ha assunto un ruolo centrale e totalizzante, se i tentativi educativi non hanno sortito effetto, se il rapporto tra il ragazzo e la famiglia si è irrigidito, il sostegno psicologico non è solo consigliabile, ma necessario.
La psicoterapia con gli adolescenti non lavora sull’eliminazione del sintomo, ma sulla comprensione della sua funzione. Non si tratta di “togliere Internet”, ma di aiutare il ragazzo a trovare uno spazio più ampio per sé stesso: dentro e fuori dalla rete.
Perché dietro ogni dipendenza c’è una domanda che non ha trovato risposta. E il compito di chi accompagna non è rispondere subito, ma aiutare a formulare la domanda giusta.