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Onicofagia: significato psicologico del mangiarsi le unghie

L’onicofagia ha un significato psicologico ben preciso, infatti, non stiamo parlando di un mangiarsi le unghie ogni tanto in modo distratto. Chi soffre di onicofagia mangia le unghie in modo abitudinario arrivando a intaccare le cuticole, la pelle circostante, fino a provocare sulle dita, nelle vicinanze dell’unghia, anche infezioni e sanguinamenti.
Quando si ha l’abitudine di portarsi costantemente le mani alla bocca in modo compulsivo, persistente e soprattutto incontrollabile si tratta di onicofagia e quindi di un disturbo nel riuscire a controllare gli impulsi.

Come si manifesta l’onicofagia?

L’onicofagia è un comportamento ripetitivo, automatico che si manifesta nei momenti di tensione emotiva, di ansia, di noia profonda. Si tratta di un movimento meccanico che si reitera nel tempo e che vede azioni come mordersi l’unghia e la pelle intorno come uno sfogo consolatorio. In alcuni casi, quest’azione serve a sentirsi più rilassati, o permette di andare a superare l’ansia.

In altri, al contrario, il mangiarsi le unghie può portare a provare anche disagio e vergogna, in quanto si aggrava la sensazione di perdita di controllo. Non è raro che le persone affette da onicofagia neghino a sè stesse la portata del problema. Tendono a giustificare il gesto come passeggero o gestibile, fino a che non sopraggiungono conseguenze evidenti: unghie danneggiate, infiammate o deformate, gengive irritate, dolori alla bocca, disturbi digestivi legati all’ingestione di frammenti di pelle o cheratina.

Nei casi più estremi, si possono sviluppare infezioni ricorrenti, eczemi e cicatrici nelle zone periungueali. Anche i denti, sottoposti a un’usura costante, possono subire danni significativi nel tempo.

Cosa significa psicologicamente mangiarsi le unghie?

Il meccanismo che sottende l’onicofagia ha a che fare con la difficoltà nei regolari stati emotivi disturbanti. Nei bambini può comparire in contesti familiari disfunzionali, oppure essere appresa per imitazione.

Negli adolescenti si accompagna spesso a forme di stress scolastico, a difficoltà relazionali o al bisogno di auto-contenimento in una fase della vita dominata da ambivalenze. Negli adulti, se persiste, diventa indice di una fragilità che merita attenzione. Il gesto compulsivo, infatti, va letto nel suo valore simbolico. Il portare le mani alla bocca, il mordere, il ferire, tutto rimanda a un bisogno di rassicurazione e a una modalità primitiva di gestione dell’angoscia.

Freud parlava di “fissazione orale”, riferendosi a quei soggetti che trovano nella bocca una zona di conforto, come nei primi mesi di vita il neonato la trova nel seno materno. In questa prospettiva, l’onicofagia può essere interpretata come una strategia regressiva, un tentativo inconscio di calmare sé stessi attraverso un’azione familiare e, in qualche misura, ritualizzata.
Va detto che non tutti i casi hanno la stessa intensità né lo stesso significato psicologico.

Alcune forme sono episodiche, marginali, e si esauriscono con il tempo. Altre, invece, si radicano e si strutturano come veri e propri sintomi. Quando il comportamento diventa irrefrenabile e compromette il benessere o la qualità della vita, è opportuno considerare un percorso di supporto psicologico.

Il DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, include l’onicofagia tra i disturbi del controllo degli impulsi, insieme alla tricotillomania (tirarsi i capelli), alla piromania e alla cleptomania.

Queste condizioni condividono una caratteristica centrale: l’incapacità di resistere a un impulso che il soggetto percepisce come incontrollabile, preceduto da una crescente tensione interna e seguito, talvolta, da un senso di sollievo, piacere o colpa. Le principali cause psicologiche dell’onicofagia riassumendo sono:

• Ansia, stress o agitazione interiore che spesso precedono il gesto;
• Noia o inattività mentale possono attivare l’impulso;
• Ambienti familiari disfunzionali o comportamenti d’imitazione (soprattutto in età infantile) tendono a favorire l’abitudine.

Inconsapevolezza del gesto e componente autolesionistica

Nel caso specifico dell’onicofagia, la consapevolezza dell’atto non sempre è presente. Chi ne soffre può rendersi conto solo a posteriori di aver rovinato le unghie, di avere dita gonfie o dolenti, o di provare imbarazzo nell’esporre le mani in pubblico. La componente autolesionistica del gesto emerge proprio in questa tensione tra sollievo e danno. Il sollievo immediato ottenuto dal gesto non basta a compensare la frustrazione successiva, creando un circolo vizioso difficile da spezzare.

Come intervenire sull’onicofagia?

Intervenire sull’onicofagia richiede tempo e un approccio multilivello. Esistono soluzioni pratiche che possono aiutare ad arginare il comportamento: smalti dal sapore amaro, anelli elastici da scatto per deviare l’attenzione, piccoli oggetti antistress da tenere in mano. Alcune persone trovano utile tenere la bocca occupata con una gomma da masticare, o praticare tecniche di rilassamento, come la mindfulness o la respirazione diaframmatica.

Cosa fare se il disturbo persiste?

Questi strumenti, però, non affrontano la radice del problema. Quando il disturbo persiste o peggiora, è consigliabile rivolgersi a uno psicologo. L’obiettivo non è tanto quello di reprimere il gesto quanto di comprenderlo: che funzione svolge? In quali momenti si manifesta? Quali emozioni lo precedono o lo accompagnano? Attraverso un percorso di consapevolezza e rielaborazione, è possibile ridurre la dipendenza da questo meccanismo e trovare modalità più sane per gestire l’ansia o l’agitazione.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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