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Essere impulsivi: cosa significa dal punto di vista psicologico

Quante volte ti sei detto: sono stato impulsivo, ho preso una decisione all’improvviso, ma cosa vuol dire essere impulsivi? È un tratto caratteriale o può avere anche una componente psicologica? L’impulsività descrive spesso dei comportamenti decisionali veloci, o delle reazioni improvvise.

Dietro questa velocità di prendere una decisione o fare un’attività, che viene definita come: essere impulsivi, non sempre però si colgono le complessità che stanno dietro un tratto di questo tipo. In psicologia, l’impulsività, infatti, può essere una caratteristica utile o in alcuni casi: dannosa.

Le radici dell’essere impulsivi

Per riuscire a capire il perché si è impulsivi bisogna ricordare innanzi tutto che il nostro cervello non è fatto per riuscire ad analizzare sempre tutto con calma. In situazioni di pericolo immediato, infatti, reagire senza riflettere è quello che garantisce la sopravvivenza della specie.

L’impulsività infatti nasce dall’istinto, dal desiderio di fuggire, di difendersi dagli attacchi, ed era un tratto caratteristico che ha permesso fino ad oggi la preservazione della specie.

Questo meccanismo però è rimasto dentro di noi, e nella vita ancora oggi agire d’impulso è normale e molto spesso utile all’adattamento nel contesto di riferimento.

Ma nella vita quotidiana, dove i pericoli non sono più quelli di un tempo, la stessa prontezza può diventare un problema.

Non un interruttore, ma un continuum

Parlare di persone “impulsive” o “non impulsive” è riduttivo. L’impulsività non funziona come un interruttore acceso o spento. È meglio immaginarla come una linea continua: ognuno di noi ha un livello medio che può aumentare o diminuire in base allo stress, al sonno, alle emozioni, alle esperienze vissute.

Alcuni fattori possono amplificarla in modo significativo: traumi infantili, disturbi psicologici, consumo di alcol o droghe, ma anche aspetti più semplici e quotidiani come la mancanza di riposo o un ambiente costantemente conflittuale. In queste condizioni diventa più difficile fermarsi e valutare prima di agire.

Quando diventa un problema

Non tutta l’impulsività è negativa, ma un gesto spontaneo può rafforzare un legame, una battuta improvvisa può alleggerire una situazione tesa, un’idea arrivata senza preavviso può trasformarsi in un’intuizione creativa. Ci sono momenti in cui seguire l’istinto è un vantaggio.

Il problema nasce quando la risposta impulsiva è frequente, fuori contesto e con conseguenze difficili da gestire.

Pensiamo a chi esplode in una lite per una parola detta male, a chi spende cifre importanti senza pensarci, a chi cerca conforto nel cibo con abbuffate compulsive o a chi guida in modo spericolato. In questi casi l’impulsività non aiuta più: diventa un ostacolo che logora relazioni, mette a rischio la salute e compromette la sicurezza.

In alcune condizioni cliniche, come i disturbi di personalità o i disturbi da dipendenza, l’impulsività non è solo un tratto, ma un sintomo centrale. Qui le conseguenze non riguardano soltanto singoli episodi, ma l’intera qualità della vita della persona.

Gli effetti nelle relazioni

Uno dei campi in cui l’impulsività pesa di più è quello delle relazioni. Una persona che reagisce con rabbia per piccoli contrattempi, che interrompe continuamente l’altro o che prende decisioni senza condividere rischia di minare la fiducia.

Chi sta accanto a una persona molto impulsiva può sentirsi svalutato, poco considerato, o vivere una costante sensazione di instabilità. Nel tempo questo porta a rapporti fragili, segnati dalla difficoltà a costruire quella continuità che ogni relazione sana richiede.

Come si gestisce l’impulsività

Gestire l’impulsività non significa eliminarla, ma imparare a introdurre una pausa tra il pensiero e l’azione. È in quel breve spazio che si apre la possibilità di scegliere.

La psicoterapia lavora molto su questo punto. Un primo passo è aiutare la persona a riconoscere quali emozioni anticipano l’impulso e quali bisogni sta cercando di soddisfare con il comportamento. Poi si introducono tecniche pratiche:

  • esercizi di respirazione per rallentare;
  • strategie di consapevolezza corporea per cogliere i segnali fisici;
  • piccole routine quotidiane che permettono di interrompere l’automatismo;
  • tecniche di distrazione per spostare l’attenzione e guadagnare tempo.

La terapia dialettico-comportamentale, sviluppata da Marsha Linehan, è uno degli approcci più conosciuti per affrontare l’impulsività: propone esercizi concreti che insegnano a differire l’azione, riconoscere i trigger emotivi e sostituire la reazione automatica con risposte più equilibrate.

Integrare, non reprimere

L’impulsività porta con sé qualità preziose: spontaneità, intuizione rapida, capacità di adattarsi ai cambiamenti. Il punto non è reprimere queste caratteristiche, ma evitare che diventino l’unico modo di agire.

Quando la persona riesce a distinguere i momenti in cui lasciarsi guidare dall’istinto da quelli in cui è meglio fermarsi a riflettere, l’impulsività torna a essere una risorsa. Il rischio è che, se lasciata senza freni, diventi invece una catena fatta di errori ricorrenti, rimorsi e relazioni instabili.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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