Il risentimento è un’emozione che si deposita lentamente, come una polvere sottile che all’inizio passa inosservata e che, con il tempo, finisce per occupare ogni spazio disponibile. In psicologia viene considerato uno stato emotivo complesso, composto da rabbia trattenuta, delusione, senso di ingiustizia e, spesso, impotenza.
Non è l’esplosione di un conflitto, ma il suo congelamento, ed è proprio questa immobilità a renderlo così pericoloso, sia per i rapporti con gli altri sia per il rapporto con sé stessi. Chi prova risentimento raramente si percepisce come “arrabbiato”. Più spesso si sente ferito, non riconosciuto, messo da parte.
Il dolore iniziale non viene elaborato, ma trattenuto, ruminato, trasformato in una narrazione interna che attribuisce all’altro la colpa di un torto subito. Da quel momento in poi, ogni gesto, parola o silenzio viene filtrato attraverso quella lente.
Leggi anche: Prendersi cura di sé: perché è importante per essere felici
Come nasce il risentimento
Alla base del risentimento c’è quasi sempre un’aspettativa disattesa. Può trattarsi di un bisogno affettivo non riconosciuto, di un confine violato, di una promessa mancata o di una percezione di ingiustizia. Il punto centrale non è l’evento in sé, ma l’impossibilità, reale o percepita, di esprimere apertamente ciò che si è provato.
Molte persone hanno imparato presto che manifestare rabbia o delusione è rischioso. Per alcuni significa temere il conflitto, per altri perdere l’amore, la stima o la sicurezza della relazione. In questi casi l’emozione non scompare, ma viene spinta sotto la superficie, dove continua a lavorare in silenzio. Il risentimento è, in questo senso, una rabbia che non ha trovato parole.
Con il tempo, la mente costruisce una sorta di archivio emotivo: episodi, frasi, atteggiamenti che vengono conservati come prove. Ogni nuova esperienza viene confrontata con quel materiale, rafforzando l’idea di essere sempre dalla parte di chi subisce e mai di chi sceglie.
Il risentimento nei rapporti affettivi
Nelle relazioni intime il risentimento agisce come un veleno lento. Non produce rotture immediate, ma altera progressivamente la qualità del legame. La comunicazione diventa ambigua, passivo-aggressiva, carica di allusioni. Le richieste non vengono esplicitate, ma trasformate in pretese silenziose. L’altro, spesso, avverte un clima di tensione senza comprenderne l’origine.
Un aspetto particolarmente insidioso è la perdita di fiducia emotiva. Chi nutre risentimento tende a interpretare ogni comportamento come conferma del torto subito. Questo porta a una rigidità percettiva che rende impossibile vedere cambiamenti, tentativi di riparazione o gesti di cura. La relazione smette di essere un luogo di scambio e diventa un tribunale interiore, in cui il verdetto è già stato emesso.
Nel tempo, il risentimento erode anche l’intimità, la vicinanza emotiva richiede vulnerabilità, ma chi si sente ferito e non riconosciuto difficilmente si espone. Meglio mantenere una distanza protettiva, anche a costo di spegnere il desiderio e la complicità.
Il costo psicologico del risentimento
Se nei rapporti il risentimento crea distanza, a livello individuale produce un logoramento profondo. Vivere in uno stato di costante recriminazione richiede energia mentale. La ruminazione, ovvero il continuo ripensare all’offesa subita, mantiene attivo il sistema di allerta emotiva, con effetti sul tono dell’umore, sul sonno e sulla capacità di concentrazione.
Dal punto di vista psicologico, il risentimento blocca l’elaborazione del dolore. Finché la responsabilità viene attribuita interamente all’esterno, non si accede mai alla possibilità di scegliere una risposta diversa. Questo non significa giustificare l’altro, ma riconoscere il proprio potere di azione. Senza questo passaggio, la persona resta ancorata al ruolo di vittima, anche quando la situazione oggettiva è cambiata.
Col tempo può emergere una forma di cinismo emotivo. La fiducia negli altri diminuisce, le relazioni vengono vissute con sospetto, e ogni investimento affettivo appare potenzialmente pericoloso. È una strategia di difesa comprensibile, ma che finisce per confermare la solitudine che si voleva evitare.
Risentimento e identità
Un aspetto meno evidente, ma altrettanto rilevante, riguarda il modo in cui il risentimento influisce sull’immagine di sé. Quando una persona costruisce la propria identità attorno al torto subito, rischia di definirsi principalmente attraverso ciò che ha perso o che non ha ricevuto. Questo restringe la percezione delle proprie risorse, competenze e possibilità.
In terapia emerge spesso come il risentimento protegga da emozioni ancora più dolorose, come la paura dell’abbandono, il senso di indegnità o la vergogna.
Mantenere viva la rabbia consente di non entrare in contatto con queste ferite più profonde. Il prezzo, però, è alto: una vita emotiva irrigidita e una difficoltà crescente nel sentirsi davvero vivi e presenti.
Uscire dal risentimento non significa dimenticare
Affrontare il risentimento non implica minimizzare ciò che è accaduto né forzarsi a perdonare. Il perdono, quando avviene, è una conseguenza, non un punto di partenza. Il primo passo consiste nel riconoscere l’emozione per ciò che è: un segnale di un bisogno non ascoltato.
Dare un nome a quel bisogno richiede onestà e, spesso, coraggio, significa chiedersi cosa è mancato davvero, cosa si sarebbe voluto ricevere, quali confini sono stati violati. In alcuni casi questo processo porta a una comunicazione più chiara con l’altro. In altri, conduce alla consapevolezza che la relazione non può offrire ciò che si desidera.
Un passaggio centrale è la restituzione di responsabilità a sé stessi. Non per colpevolizzarsi, ma per riappropriarsi della possibilità di scegliere. Restare in una relazione, modificarla o lasciarla diventano decisioni consapevoli, non reazioni dettate dal rancore.
Il ruolo della consapevolezza emotiva
La consapevolezza emotiva è uno strumento fondamentale per prevenire e sciogliere il risentimento. Riconoscere tempestivamente la rabbia, la delusione o la frustrazione permette di affrontarle prima che si cristallizzino. Questo richiede un’educazione emotiva che molte persone non hanno ricevuto, ma che può essere sviluppata nel tempo.
Imparare a esprimere il disagio in modo diretto, senza accusare né tacere, riduce il rischio di accumulare tensioni. Allo stesso tempo, accettare che non tutte le aspettative verranno soddisfatte aiuta a distinguere tra bisogni legittimi e richieste irrealistiche.
Una libertà possibile
Il risentimento promette protezione, ma offre prigionia. Protegge dal dolore immediato, ma impedisce il movimento. Lasciarlo andare non significa cancellare il passato, bensì smettere di viverci dentro. È un atto di responsabilità verso sé stessi, prima ancora che verso gli altri.
Quando il risentimento si allenta, ciò che emerge non è necessariamente la serenità, ma uno spazio nuovo. In quello spazio diventano possibili scelte più autentiche, relazioni meno difensive e un rapporto con sé stessi fondato non sulla rivendicazione, ma sulla cura. È un percorso che richiede tempo e, spesso, accompagnamento, ma che restituisce qualcosa di essenziale: la possibilità di vivere senza portare costantemente il peso di ciò che è stato.
Psico.it Psicologia, Psicoterapia e Benessere
