La capacità di apprendere e usare il linguaggio è una caratteristica esclusivamente umana. Ed è altresì una caratteristica estremamente importante: ci permette di comunicare, imparare cose, creare concetti, pensare meglio. Tuttavia, a causa della complessità di questo processo, gli scienziati hanno a lungo cercare di comprendere come funzioni la neurobiologia del linguaggio.
Ricordiamo come nella visione tradizionale di questo tema ci siano due grandi aree linguistiche nella metà sinistra del nostro cervello. L’area del lobo frontale, che è responsabile della produzione della lingua (parlare e scrivere), e l’area del lobo temporale, che supporta la comprensione della lingua (ascolto e lettura). Un grande tratto di fibre (il fascicolo arcuato) collega queste due aree intorno alla fessura di Sylvian, cioè la spaccatura che divide i due lobi.
Ebbene, una recente ricerca del Max Planck Institute, a firma di Peter Hagoort, afferma che la visione tradizionale sarebbe in gran parte sbagliata, perché il linguaggio è infinitamente più complesso del parlare o della comprensione di singole parole, su cui si basa il modello classico. Sebbene sia vero che le parole sono “mattoni elementari” del linguaggio, c’è altresì bisogno di “operazioni” che siano in grado di combinare le parole in frasi strutturate. Insomma, comprendere e interpretare le espressioni, conoscere i suoni (o le lettere) del discorso e il significato delle singole parole non è sufficiente. Il processo coinvolge infatti anche altri elementi, come le informazioni sul contesto (chi è l’oratore?), l’intonazione (il tono è cinico?), e la conoscenza del mondo.
Negli ultimi anni i neuroanatomisti hanno scoperto che le due regioni del cervello contengono effettivamente molteplici aree neuroanatomiche. Inoltre, le aree linguistiche scoperte di recente si estendono oltre le aree classiche, anche nel lobo parietale, con più connessioni di quanto si pensasse in precedenza. In aggiunta a ciò, è verificato che le aree tradizionali siano coinvolte sia nella comprensione della lingua che nella produzione del linguaggio. Ma la ricerca ha evidenziato che anche altre regioni del cervello sono più importanti per il linguaggio, e lo sono in modo molto più importante rispetto a quanto si pensasse una volta, compreso l’emisfero destro e il cervelletto.
Insomma, il nostro cervello elabora il linguaggio con sorprendente velocità e “immediatezza“, in una rete dinamica di aree cerebrali che interagiscono tra loro. Tutte le informazioni rilevanti diventano immediatamente disponibili, quando cominciamo a combinare i significati delle singole parole, unendo le diverse fonti di informazione.
Ora, poiché la maggior parte degli interventi fanno parte di una conversazione, alcune informazioni sono di solito già condivise tra l’oratore e l’ascoltatore. Gli oratori fanno in modo di segnare “nuove informazioni”, usando l’ordine delle parole o del tono per focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore e solo quando le “nuove” informazioni rilevanti sono inaspettate o nongrammatiche, il cervello delle persone reagisce. Gli ascoltatori probabilmente elaborano le ‘vecchie’ informazioni in modo ‘abbastanza efficace’, ignorando alcuni dei dettagli, spiega Hagoort, ed è per questo che non sembrano notare informazioni ‘vecchie’ inaspettate.
Per rendere le cose ancora più complesse, il linguaggio è spesso veicolato in modo indiretto. Per sapere cosa significa realmente un oratore, gli ascoltatori devono dedurre l’intenzione dello stesso. Per esempio, l’espressione “Fa caldo” potrebbe essere intesa come una richiesta di apertura della finestra, piuttosto che come una dichiarazione sulla temperatura.
In conclusione, Hagoort afferma che il linguaggio è un “complesso ibrido bioculturale“, da interpretarsi a tal fine mediante una visione multidisciplinare del linguaggio, in cui alcune operazioni potrebbero essere condivise con altri domini cognitivi, come la musica e l’aritmetica.