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Andare nello spazio potrebbe essere un bel problema per il nostro cervello

Gli scienziati dell’Università di Anversa e dell’Università di Liegi hanno scoperto come il cervello umano cambia e si adatta all’assenza di gravità, dopo essere stato nello spazio per 6 mesi. Alcuni dei cambiamenti si sono rivelati duraturi, tanto da rimanere anche 8 mesi dopo il ritorno sulla Terra. Raphaël Liégeois, che presto sarà il terzo belga nello spazio, riconosce l’importanza della ricerca, necessaria “per preparare la nuova generazione di astronauti a missioni più lunghe“.

La gravità

Un bambino che sa come non far cadere un bicchiere sul pavimento o un tennista che prevede la traiettoria di una palla in arrivo per colpirla con la giusta precisione sono dei classici e comuni esempi di come il nostro cervello sia in grado di incorporare le leggi fisiche della gravità per funzionare in modo ottimale sulla Terra.

Gli astronauti che si recano nello spazio si trovano infatti in un ambiente privo di peso, dove le regole del cervello sulla gravità non sono più applicabili.

Ebbene, un nuovo studio sulle funzioni cerebrali dei cosmonauti ha rivelato come l’organizzazione del cervello cambi dopo una missione di sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dimostrando l’adattamento necessario per vivere in assenza di gravità.

Lo studio belga

L’Università di Anversa ha guidato questo progetto scientifico BRAIN-DTI attraverso l’Agenzia Spaziale Europea. Sono stati prelevati dati di risonanza magnetica (MRI) dal cervello di 14 astronauti prima e più volte dopo la loro missione nello spazio e, utilizzando una speciale tecnica di risonanza magnetica, i ricercatori hanno raccolto i dati cerebrali degli astronauti in una condizione di riposo, senza che gli astronauti fossero impegnati in un compito specifico.

Questa tecnica di risonanza magnetica funzionale in stato di riposo ha permesso ai ricercatori di studiare lo stato di default del cervello e di scoprire se questo cambia o meno dopo un volo spaziale di lunga durata. Con quali risultati?

In collaborazione con l’Università di Liegi, le recenti analisi dell’attività cerebrale a riposo hanno rivelato come la connettività funzionale, un indicatore di come l’attività di alcune aree cerebrali sia correlata all’attività di altre, cambi in regioni specifiche.

Abbiamo scoperto che la connettività era alterata dopo il volo spaziale nelle regioni che supportano l’integrazione di diversi tipi di informazioni, piuttosto che occuparsi ogni volta di un solo tipo, come le informazioni visive, uditive o di movimento“, affermano Steven Jillings e Floris Wuyts (Università di Anversa). “Inoltre, abbiamo scoperto che alcuni di questi modelli di comunicazione alterati sono stati mantenuti durante gli 8 mesi di ritorno sulla Terra. Allo stesso tempo, alcuni cambiamenti cerebrali sono tornati al livello di funzionamento delle aree prima della missione spaziale“.

Entrambi gli scenari di cambiamento sono peraltro ben plausibili: i cambiamenti conservati nella comunicazione cerebrale possono indicare un effetto di apprendimento, mentre i cambiamenti transitori possono indicare un adattamento più acuto al cambiamento dei livelli di gravità.

Questo set di dati è speciale come i loro stessi partecipanti. Nel 2016, siamo stati storicamente i primi a mostrare come il volo spaziale possa influenzare le funzioni cerebrali di un singolo cosmonauta. A distanza di alcuni anni siamo ora in una posizione unica per studiare il cervello di più astronauti, più volte. Pertanto, stiamo decifrando il potenziale del cervello umano con maggiore sicurezza“, afferma la dott.ssa Athena Demertzi (Istituto GIGA, Università di Liegi), co-supervisore di questo lavoro.

Una nuova generazione di astronauti

Comprendere i cambiamenti fisiologici e comportamentali innescati dall’assenza di peso è fondamentale per pianificare l’esplorazione umana dello spazio. Pertanto, mappare i cambiamenti della funzione cerebrale utilizzando tecniche di neuroimaging come fatto in questo lavoro è un passo importante per preparare la nuova generazione di astronauti a missioni più lunghe“, aggiunge Raphaël Liégeois, dottore in Scienze dell’Ingegneria (ULiège) con una tesi nel campo delle neuroscienze, futuro astronauta dell’ESA.

I ricercatori hanno dunque condiviso la soddisfazione per i risultati raggiunti, affermando comunque che si tratta solamente di un primo passo verso la comprensione dei cambiamenti nella comunicazione cerebrale dopo un viaggio nello spazio. Bisognerà per esempio ancora indagare  su quale sia l’esatta conseguenza comportamentale di questi cambiamenti nella comunicazione cerebrale, e comprendere se un tempo più lungo trascorso nello spazio possa influenzare queste osservazioni e se le caratteristiche cerebrali possano essere utili per selezionare i futuri astronauti o per monitorarli durante e dopo i viaggi nello spazio.

About Roberto Rossi

Mi chiamo Roberto Rais, Giornalista pubblicista, da diversi anni  specializzato in tematiche legate alla psicologia, alla motivazione e al wellness psico-fisico. Collaboro con alcuni magazine online di settore, prestando la mia consulenza editoriale anche ad agenzie di stampa e siti web"

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