Il nostro cervello è in grado di rigenerarsi? E possiamo sfruttare questo potenziale rigenerativo durante l’invecchiamento o in condizioni neurodegenerative?
Si tratta di domande certamente non nuove nel campo della psicologia e delle neuroscienze che, però, un nuovo studio ha cercato di fronteggiare. L’analisi compiuta dal Netherlands Institute for Neuroscience mostra infatti il perché di risultati contrastanti che si sono succeduti nel corso degli anni e propone una tabella di marcia per risolvere questi problemi.
L’idea di sfruttare il potenziale rigenerativo del cervello umano nell’invecchiamento o nelle malattie neurologiche rappresenta un’alternativa particolarmente attraente alle strategie convenzionali per migliorare o ripristinare la funzione cerebrale, soprattutto in considerazione dell’attuale mancanza di strategie terapeutiche efficaci nei disturbi neurodegenerativi come il morbo di Alzheimer. La questione se il cervello umano possieda o meno la capacità di rigenerarsi è stata al centro di un acceso dibattito scientifico per molti anni e studi recenti hanno dato risultati contrastanti. Un nuovo studio di Giorgia Tosoni e Dilara Ayyildiz, sotto la supervisione di Evgenia Salta nel laboratorio di Neurogenesi e Neurodegenerazione, discute e rianalizza criticamente i dati precedentemente pubblicati. Come è possibile che non si sia ancora trovata una risposta chiara a questo mistero?
Studi precedenti, in cui le cellule in divisione sono state etichettate nel cervello umano post-mortem, hanno dimostrato che nuove cellule possono effettivamente nascere durante l’età adulta nell’ippocampo del nostro cervello, una struttura che svolge un ruolo importante nell’apprendimento e nella memoria e che è anche gravemente colpita dalla malattia di Alzheimer. Tuttavia, altri studi contraddicono questi risultati e non riescono a rilevare la generazione di nuove cellule cerebrali in quest’area. A queste osservazioni apparentemente opposte hanno probabilmente contribuito fattori di confondimento sia concettuali che metodologici. Pertanto, chiarire la portata della rigenerazione nel cervello umano rimane una sfida.
I recenti progressi nelle tecnologie di trascrittomica a singola cellula hanno fornito preziose indicazioni sui diversi tipi di cellule presenti nei cervelli umani di donatori deceduti con diverse patologie cerebrali. Ad oggi, le tecnologie trascrittomiche a singola cellula sono state utilizzate per caratterizzare popolazioni cellulari rare nel cervello umano. Oltre a identificare specifici tipi di cellule, il sequenziamento dell’RNA a singolo nucleo può anche esplorare specifici profili di espressione genica per svelare tutta la complessità delle cellule dell’ippocampo.
L’avvento delle tecnologie di trascrittomica a singola cellula è stato inizialmente visto come una panacea per risolvere le controversie del settore. Tuttavia, recenti studi di sequenziamento dell’RNA a singola cellula nell’ippocampo umano hanno dato risultati contrastanti. Due studi hanno effettivamente identificato cellule staminali neurali, mentre un terzo studio non è riuscito a individuare alcuna popolazione neurogenica. Questi nuovi approcci – ancora una volta – non riescono a risolvere definitivamente la controversia sull’esistenza della rigenerazione ippocampale nell’uomo? Riusciremo a superare le sfide concettuali e tecniche e a conciliare questi punti di vista e risultati apparentemente opposti?
In questo studio, i ricercatori hanno discusso e rianalizzato criticamente set di dati trascrittomici a singola cellula pubblicati in precedenza. Essi avvertono che la progettazione, l’analisi e l’interpretazione di questi studi nell’ippocampo umano adulto possono essere confusi da questioni specifiche, che richiedono aggiustamenti concettuali, metodologici e computazionali. Analizzando nuovamente i set di dati pubblicati in precedenza, sono state analizzate una serie di sfide specifiche che richiedono particolare attenzione e che trarrebbero grande beneficio da una discussione aperta sul campo.
I ricercatori affermano di aver analizzato studi di trascrittomica a singola cellula pubblicati in precedenza e di aver eseguito una meta-analisi per valutare se le popolazioni neurogeniche adulte possono essere identificate in modo affidabile tra le diverse specie, soprattutto quando si confrontano i topi e gli esseri umani.
Il processo neurogenico nei topi adulti è molto ben caratterizzato e i profili delle diverse popolazioni cellulari coinvolte sono noti. Si tratta in realtà delle stesse firme molecolari e cellulari che sono state ampiamente utilizzate sul campo per identificare anche le cellule neurogeniche nel cervello umano. Tuttavia, a causa di diversi adattamenti evolutivi, ci si aspetta che la neurogenesi tra topi e umani sia diversa. Sono stati così controllati i marcatori per ogni tipo di cellula neurogenica ed è stata esaminata la quantità di sovrapposizione dei marcatori tra le due specie.
È così stata riscontrata una sovrapposizione minima, se non addirittura nulla, tra le due specie, il che suggerisce che i marcatori utilizzati da tempo nei topi potrebbero non essere adatti al cervello umano. I ricercatori hanno anche scoperto che studi di questo tipo richiedono una potenza statistica sufficiente: se la rigenerazione delle cellule neuronali avviene nel cervello umano adulto, ci si aspetta che sia piuttosto rara. Pertanto, è necessario sequenziare un numero sufficiente di cellule per identificare quelle popolazioni scarse, presumibilmente neurogeniche. Anche altri parametri sono importanti, ad esempio la qualità dei campioni. L’intervallo tra la morte del donatore e l’elaborazione a valle è critico, poiché la qualità del tessuto e dei dati risultanti diminuisce con il passare del tempo.
“Queste nuove tecnologie, se applicate in modo appropriato, offrono un’opportunità unica di mappare la rigenerazione dell’ippocampo nel cervello umano e di esplorare quali tipi e stati cellulari possono essere più adatti a interventi terapeutici nelle malattie dell’invecchiamento, neurodegenerative e neuropsichiatriche. Tuttavia, la riproducibilità e la coerenza sono fondamentali. Durante l’analisi ci siamo resi conto che alcuni dettagli e parametri apparentemente piccoli, ma altrimenti molto critici nella pipeline sperimentale e computazionale, possono avere un grande impatto sui risultati e quindi influenzare l’interpretazione dei dati” – hanno poi concluso i ricercatori.