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Come l’ansia colpisce il cervello e distorce la percezione del pericolo

Chi soffre d’ansia spesso non ha paura di qualcosa di preciso, ha paura di avvertire un allarme sottile, continuo, che non sempre esplode ma al contempo non tace. È come se il cervello restasse in ascolto costante, in attesa di un segnale che confermi che c’è davvero un pericolo, anche quando razionalmente si sa che non dovrebbe esserci.

Dal punto di vista clinico, questo è uno degli aspetti più faticosi dell’ansia: non colpisce solo l’umore, colpisce il modo stesso in cui la realtà viene percepita. Non è il mondo a cambiare, è il filtro attraverso cui viene osservato.

Quando il cervello impara a vedere minacce ovunque

Il cervello umano è progettato per proteggerci, alcune strutture, come l’amigdala, hanno il compito di individuare rapidamente ciò che potrebbe rappresentare un rischio. In condizioni di equilibrio, questo sistema si attiva quando serve e si disattiva quando il pericolo è passato. Nell’ansia, questo meccanismo rimane acceso troppo a lungo.
La soglia di allarme si abbassa. Stimoli neutri, ambigui o semplicemente sconosciuti vengono letti come potenzialmente pericolosi. Il cervello, in pratica, diventa molto bravo a “trovare problemi”, ma perde la capacità di verificare se quei problemi siano reali.

Non è una scelta consapevole. È un apprendimento implicito.

Il sistema nervoso, esposto ripetutamente a stati di tensione, impara che è più sicuro anticipare tutto, anche a costo di sbagliare. La distorsione percettiva non è un errore, è una strategia per la quale molti pazienti si colpevolizzano per il modo in cui pensano. Si dicono che stanno esagerando, che dovrebbero calmarsi, che “non ha senso” preoccuparsi così tanto.

Questo dialogo interno, però, raramente aiuta. Le distorsioni cognitive dell’ansia non nascono da una debolezza caratteriale. Nascono da un cervello che sta cercando di proteggere, ma lo fa in modo eccessivo. L’attenzione si orienta selettivamente verso ciò che conferma la minaccia, mentre tutto ciò che potrebbe ridimensionarla viene scartato o svalutato.

Un messaggio non letto diventa un segnale di rifiuto. Un lieve malessere fisico diventa il preludio di una malattia grave. Un errore minimo viene interpretato come l’inizio di una catastrofe personale. Il problema non è il singolo pensiero, ma la rigidità con cui il cervello lo tratta come un dato di realtà.

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Pensieri intrusivi e impossibilità di “staccare”

Chi vive con l’ansia spesso descrive una sensazione precisa: quella di non riuscire mai davvero a riposare mentalmente. Anche nei momenti piacevoli, una parte della mente resta vigile, come se fosse necessario controllare che tutto rimanga sotto controllo. I pensieri intrusivi arrivano mentre si lavora, mentre si parla, mentre si prova a dormire. Non sono sempre rumorosi, a volte sono solo un sottofondo costante, ma sufficientemente presente da rubare spazio al presente.
Questo stato di iperattivazione consuma energie, riduce la capacità di concentrazione e logora lentamente il senso di sicurezza personale. Non si ha più fiducia nemmeno nella propria capacità di stare bene.

L’ansia e la profezia che si autoalimenta

Dal punto di vista relazionale, l’ansia ha un effetto subdolo. Quando una persona è convinta che qualcosa andrà male, tende a comportarsi come se quel fallimento fosse già in atto. Può diventare controllante, evitante, eccessivamente prudente o, al contrario, iperreattiva.
Gli altri percepiscono questa tensione, spesso senza comprenderla e le relazioni ne risentono e si creano incomprensioni, distanze, talvolta conflitti. L’esito finale viene vissuto come la conferma della paura iniziale: “avevo ragione a preoccuparmi”. In realtà, ciò che si è verificato è un circuito chiuso, dove l’ansia ha modellato il comportamento fino a rendere plausibile ciò che temeva.

Il ritiro come tentativo di sopravvivenza

Quando il mondo viene percepito come minaccioso, il ritiro appare come l’unica soluzione possibile, ridurre le interazioni, evitare situazioni nuove, restare in contesti percepiti come “controllabili” offre un sollievo immediato. Ma a lungo andare, il cervello impara che l’evitamento funziona e ogni rinuncia rafforza l’idea che esporsi sarebbe stato pericoloso. Così lo spazio di vita si restringe, spesso senza che la persona se ne renda conto, fino a ritrovarsi intrappolata in una quotidianità sempre più limitata.

La difficoltà di chiedere aiuto

Molte persone con ansia non parlano di ciò che provano, non perché non vogliano, ma perché faticano a spiegare qualcosa che sentono come irrazionale, sproporzionato, a volte persino vergognoso. C’è la paura del giudizio, ma anche quella di “rendere tutto più reale” mettendolo in parole. In questo silenzio, però, l’ansia cresce indisturbata, alimentata dall’isolamento e dalla mancanza di rispecchiamento.

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Nuove prospettive: il cervello non vive isolato

Negli ultimi anni, la ricerca ha iniziato a guardare all’ansia come a un fenomeno che non riguarda solo la mente, ma l’intero equilibrio neurobiologico dell’organismo. Alcuni studi suggeriscono un possibile legame tra stati ansiosi persistenti e carenze di sostanze coinvolte nel funzionamento neuronale, come la colina.
Si ipotizza che un cervello costantemente iperattivato possa consumare più risorse di quante riesca a reintegrare, con effetti sulla regolazione dell’eccitazione e sulla comunicazione tra neuroni. Non si tratta di soluzioni semplici né di scorciatoie, ma di segnali importanti: l’ansia va pensata come un fenomeno complesso, che richiede interventi altrettanto complessi.

Ritrovare una percezione più affidabile della realtà

Il lavoro psicologico sull’ansia non mira a eliminare la paura, ma a restituire flessibilità. Aiutare il cervello a distinguere di nuovo tra possibilità e probabilità, tra sensazione e fatto, tra allarme e realtà. È un percorso che richiede tempo, pazienza e spesso il supporto di un professionista. Ma è anche un percorso che permette, gradualmente, di riappropriarsi del presente, senza sacrificarlo continuamente a ciò che potrebbe accadere. Quando l’ansia smette di essere l’unico filtro, il mondo non diventa perfetto. Diventa, finalmente, più leggibile.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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