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Perché mentire a sé stessi è facile? Ecco cosa dice la psicologia

Mentire a sé stessi non è un difetto morale, né una debolezza da correggere, ma è un riflesso umano, un meccanismo che si insinua quando la verità diventa pesante da sostenere o rischia di incrinare l’immagine che abbiamo costruito di noi. In apparenza si tratta di un piccolo aggiustamento, un pensiero che alleggerisce la colpa o che rende più tollerabile una scelta, ma dietro questo gesto mentale c’è molto di più: la necessità di mantenere coerenza, di non mettere in discussione la propria identità, di restare fedeli a una narrazione che ci fa sentire integri.

La tendenza a difendersi che porta a mentire a sé stessi

La psicologia ha da tempo chiarito che la mente umana tende a difendersi da tutto ciò che potrebbe generare fratture interne. Quando i nostri comportamenti non coincidono con i valori o con le convinzioni che dichiariamo di avere, nasce quella tensione sottile che Leon Festinger chiamava dissonanza cognitiva. Per ridurla, il cervello cerca scorciatoie. Modifica la percezione, attenua i contrasti, riscrive i ricordi. In poche parole, mente.

Una persona che si definisce determinata ma rinuncia spesso ai propri obiettivi dirà di “non avere tempo” o che “non era poi così importante”. Chi si considera gentile ma perde la calma con facilità racconterà a sé stesso che “chiunque si sarebbe arrabbiato al suo posto”. È un modo per difendere la coerenza interna, perché ammettere la contraddizione farebbe vacillare la stima di sé.

La mente come sceneggiatrice: quando l’autoinganno si traveste da logica

Un recente studio condotto da Yunhao Zhang (Università della California, Berkeley) e David Rand (MIT) ha mostrato quanto poco serva per convincerci di qualcosa che, fino a un momento prima, non credevamo affatto. Ai partecipanti veniva chiesto di scrivere un testo a favore o contro alcune affermazioni, indipendentemente dalle loro idee. Bastava questo per modificare le convinzioni originarie: chi aveva sostenuto la posizione opposta finiva, spesso, per crederci davvero.

Il meccanismo, chiamato autopersuasione, rivela che la mente tende ad allineare le idee alle proprie azioni, anche quando queste sono nate per caso. È un adattamento elegante e pericoloso insieme: più difendiamo un pensiero, più diventa reale ai nostri occhi. Scrivere, parlare, argomentare attiva un processo di razionalizzazione che ci spinge a cercare coerenza, anche a costo della verità.

In questo senso, l’autoinganno non nasce da un intento deliberato, ma dal bisogno di ordine. È come se, una volta pronunciata una frase, la mente si impegnasse a dimostrarne la veridicità per evitare la fatica del dubbio. Non vogliamo sembrare incoerenti neppure davanti a noi stessi.

Autoinganno e identità: la menzogna come difesa

L’autoinganno ha una funzione precisa: protegge l’immagine che ci permette di vivere in equilibrio. Chi si percepisce come “forte” tende a minimizzare le ferite; chi si considera “razionale” ignora gli impulsi emotivi; chi si ritiene “giusto” trova sempre una motivazione per le proprie scelte, anche quando feriscono gli altri. È un modo per mantenere il controllo su un sé che, se messo in discussione, rischierebbe di sgretolarsi.

La mente non sopporta il disordine e preferisce distorcere la realtà piuttosto che ammettere un’incoerenza. Così, giorno dopo giorno, costruiamo versioni più accettabili dei nostri fallimenti, delle nostre omissioni, dei nostri limiti. Ogni piccola bugia si sedimenta e diventa parte della narrazione personale, fino a confondersi con la verità.

L’autoinganno, però, non è solo una difesa: è anche una prigione. Quando ci abituiamo a credere alle nostre giustificazioni, perdiamo la capacità di guardare le cose con lucidità. L’onestà interiore richiede una forza rara, perché comporta la possibilità di riconoscere di aver sbagliato. E l’errore, per quanto umano, ferisce l’immagine che abbiamo faticosamente costruito.

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L’ombra del doppio sé

Ogni persona vive con due voci: una che agisce e una che osserva. Quando mentiamo a noi stessi, queste voci smettono di dialogare e iniziano a recitare. Una crea la versione ufficiale, l’altra si limita a non contraddirla. È un equilibrio instabile, ma sorprendentemente funzionale. Ci permette di continuare a vivere, a lavorare, a mantenere relazioni. Tuttavia, a lungo andare, quell’accordo silenzioso diventa un peso.

Riconoscere una menzogna interiore non significa solo ammettere la falsità di un pensiero, ma anche la paura che lo ha generato. È un gesto che spoglia, che espone, ma che restituisce anche libertà. Perché finché ci nascondiamo dietro le nostre narrazioni, restiamo prigionieri di un’immagine rigida e fragile al tempo stesso.

Come evitare di mentire a sè stessi in modo recidivo?

La menzogna che si ripete è la più difficile da smascherare. All’inizio serve solo a placare un disagio, poi diventa abitudine, infine si trasforma in identità. Per evitarla, serve lentezza. Non quella che frena, ma quella che consente di osservare.

Il primo passo è imparare a sostare nel dubbio senza cercare subito un sollievo narrativo. Quando una decisione o un pensiero ci mettono a disagio, chiedersi: “Sto cercando la verità o la pace?”. Questa semplice domanda svela la direzione del movimento interiore.

Il secondo passo è la riflessione scritta. Annotare le proprie scelte, le emozioni, le giustificazioni, permette di vedere le ripetizioni, le razionalizzazioni, i piccoli inganni che altrimenti scivolano via. La scrittura ferma la mente e la costringe alla chiarezza.

Il terzo è la disponibilità al confronto. Parlare con chi non condivide il nostro punto di vista è uno dei modi più efficaci per ridurre l’autoinganno. Le voci esterne, se scelte con cura, ci costringono a uscire dal circolo delle nostre convinzioni.

Gli autori dello studio osservano che l’autoinganno può riemergere ogni volta che siamo esposti a una nuova argomentazione. Articolare una posizione opposta alla nostra ci costringe a vedere sfumature, ma può anche farci perdere di vista ciò che avevamo capito di noi. L’importante è non trasformare la flessibilità in smarrimento: rivedere le proprie opinioni è segno di crescita, rinnegarle per conformarsi è un cedimento.

Non esiste un modo per eliminare del tutto l’autoinganno, ma si può imparare a riconoscerne le forme, a fermarlo prima che diventi un’abitudine. Mentire a sé stessi, dopotutto, è un modo per sopravvivere. Ma smettere di farlo è il primo passo per vivere davvero.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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