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Bias cognitivi come segnali predittivi di ansia e depressione?

Alcune delle principali aree di intervento di chi si occupa di salute mentale sono sicuramente quelle dedicate ai disturbi di ansia e depressione, queste problematiche agiscono negativamente sulla vita di chi ne soffre, ma quali sono i fattori che li scatenano, e possiamo dedurli sulla base di specifici bias cognitivi?

Infatti, conoscere in tempo i fattori che potrebbero favorire l’insorgenza di questi disturbi potrebbe essere molto importante per aiutare chi è più predisposto a soffrirne ad agire in via preventiva.

L’obiettivo di una ricerca recente, sarebbe stata dunque quella di identificare o meglio cogliere dei segnali anche sottili, che se trascurati potrebbero portare a una manifestazione di disturbi ansia o di depressione.

L’osservazione dei bias cognitivi per individuare fattori di ansia e depressione

Tra gli elementi oggi sotto osservazione, i bias cognitivi emergono come possibili indicatori di future problematiche e di vulnerabilità psicologiche. Con il termine “bias” si fa riferimento a deviazioni sistematiche nei processi mentali, cioè a schemi di interpretazione e memoria che possono distorcere il modo in cui una persona valuta sé stessa, gli altri e gli eventi.

Un recente lavoro condotto da Vos e collaboratori (2025) ha esplorato in modo sistematico la relazione tra la presenza di questi pregiudizi cognitivi e il successivo sviluppo di sintomi legati a depressione e ansia.

La ricerca si basa su un approccio longitudinale, seguendo gruppi di individui per periodi prolungati al fine di verificare se specifici schemi cognitivi anticipano o meno l’insorgere dei disturbi.

I dati emersi sono chiari su un punto: alcune forme di bias, in particolare quelli legati all’interpretazione e alla memoria, risultano essere tra i predittori più solidi.

Chi tende a dare una lettura negativa alle situazioni ambigue o a conservare soprattutto i ricordi spiacevoli, mostra nel tempo una maggiore probabilità di sperimentare sintomi depressivi o ansiosi.

Analisi dei bias attentivi e il loro impatto psicologico

Un discorso a parte meritano i bias attentivi, ossia la tendenza a concentrarsi in modo selettivo su stimoli minacciosi o negativi. Nel modello proposto da Vos, questi ultimi sembrano avere un impatto meno diretto come predittori rispetto agli altri, pur rappresentando un potenziale fattore di mantenimento o amplificazione dei sintomi una volta comparsi.

Il quadro che emerge offre indicazioni rilevanti sia per la ricerca sia per la pratica clinica. Innanzitutto, si rafforza l’ipotesi secondo cui gli schemi cognitivi disfunzionali non si limitano a essere una conseguenza dei disturbi emotivi, ma possono in certi casi precederli e favorirne lo sviluppo.

Gli interventi preventivi per combattere ansia e depressione

Questa prospettiva aprirebbe la strada a interventi in chiave preventiva, con la possibilità di individuare precocemente persone a rischio attraverso strumenti di valutazione mirati sui bias cognitivi. Non si parla di predizioni assolute, ma di segnali che, se interpretati correttamente, possono orientare il lavoro clinico prima che la sofferenza si radichi.

Parallelamente, il concetto stesso di intervento terapeutico può evolvere. Alcuni protocolli sperimentali, come le tecniche di Cognitive Bias Modification, puntano a modificare gli schemi di pensiero disfunzionali attraverso esercizi ripetitivi e attività mirate.

Sebbene i risultati siano ancora oggetto di approfondimento, si tratta di approcci che cercano di agire alla radice, prima che il disagio si trasformi in patologia conclamata.

Il legame tra pregiudizi cognitivi e salute mentale, tuttavia, non può essere ridotto a una formula schematica. Il pensiero umano è un sistema complesso, modellato dall’interazione tra fattori genetici, esperienze di vita e dinamiche sociali. Considerare i bias cognitivi come parte di questo sistema permette di cogliere un ulteriore livello di comprensione, utile ma non esaustivo.

Lo studio di Vos si inserisce, infatti, in un contesto teorico ben definito, quello delle tradizioni cognitivo-comportamentali, che da decenni sottolineano l’importanza dei pensieri automatici, delle convinzioni radicate e delle distorsioni percettive nel contribuire al malessere psicologico.

Identificare in fase iniziale schemi cognitivi negativi non equivale a prevedere con certezza l’insorgenza di depressione o ansia, ma offre strumenti più raffinati per orientare il lavoro clinico verso la prevenzione.

È un passo ulteriore verso l’idea che la cura non debba limitarsi a intervenire sul sintomo, ma possa — e debba — iniziare molto prima, lavorando sui processi mentali che, silenziosamente, possono alimentare la sofferenza.

In quest’ottica, la riflessione sui bias cognitivi non riguarda solo chi già convive con un disturbo, ma coinvolge chiunque si trovi ad affrontare situazioni stressanti o periodi di vulnerabilità. Capire come il pensiero si struttura, come interpreta, seleziona e memorizza, diventa parte di un percorso più ampio di consapevolezza e tutela della salute mentale.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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