Cos’è la sindrome di Stoccolma?
La sindrome di Stoccolma è un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica.
In buona sostanza, il oggetto affetto dalla sindrome, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice.
La sindrome – è bene precisarlo – spesso evocata nei resoconti giornalistici o in opere di fantasia, non è inserita in nessun sistema internazionale di classificazione psichiatrica e non è classificata in nessun manuale di psicologia.
Origine della Sindrome di Stoccolma
Il nome trae origine da un caso di sequestro di persone avvenuto il 23 agosto 1973, quando Jan-Erik Olsson, un uomo di 32 anni evaso dal carcere di Stoccolma dove era detenuto, tentò una rapina alla sede della Sveriges Kredit Bank di Stoccolma e prese in ostaggio tre donne e un uomo. La prigionia e la convivenza forzata degli ostaggi con il rapinatore durarono oltre 130 ore, al termine delle quali il malvivente si arrese e gli ostaggi vennero tutti rilasciati senza che fosse eseguita alcuna azione di forza e senza che nei loro confronti fosse stata posta in essere alcuna azione violenta da parte del sequestratore.
La vicenda attirò l’attenzione dell’opinione pubblica svedese. Durante la prigionia, come risulterà in seguito dalle interviste psicologiche (fu questo il primo caso in cui si intervenne anche a livello psicologico sui soggetti sequestrati), gli ostaggi temevano più la polizia che non il sequestratore.
Rintanata all’interno di un ambiente ristretto, a seguito di vari episodi di gentilezza da parte di Olsson, Kristin Enmark, uno degli ostaggi, raccontò, a un anno di distanza, in una intervista al New Yorker, che sentì gratitudine nei confronti del carceriere e che una serie di gesti da parte del rapitore la portarono a pensare che nonostante tutto era trattata con gentilezza. Un altro ostaggio, Sven Safstrom, arrivò a dire, riferendosi al rapinatore: “Si potrebbe pensare a lui come a un Dio di emergenza”
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