Idealizzare una persona significa costruirne una rappresentazione interna sovradimensionata, enfatizzandone le qualità e minimizzandone i difetti. Quando si idealizza l’altro non si ha nei suoi confronti una visione di tipo affettuoso, ma si ha una percezione completamente alterata che va a rispondere ai nostri bisogni interiori invece che alla realtà della relazione. Si tratta di un meccanismo psicologico complesso che si presenta in modo marcato o meno a seconda del contesto nel quale si presente e in base alla personalità di chi lo attua.
L’immagine idealizzata dell’altro come specchio dei propri bisogni
Idealizzare qualcuno non deriva da un’osservazione oggettiva ma da una necessità: quella di sentirsi al sicuro, di trovare un punto di riferimento o di proiettare all’esterno una parte fragile del proprio mondo interiore.
Nella maggior parte dei casi si ha un bisogno profondo di essere amati, riconosciuti o guidati, che si tende a selezionare inconsciamente alcune caratteristiche dell’altro, eliminando tutto ciò che potrebbe disturbare quella rappresentazione.
L’altro, così, smette di essere una persona reale e diventa un contenitore ideale, spesso inconsapevole, di aspettative e desideri che non trovano spazio altrove.
Questo processo può avere origine già nell’infanzia. Ad esempio, nei bambini, l’idealizzazione dei genitori rappresenta una tappa rilevante nello sviluppo dell’attaccamento.
Ma se questo meccanismo non si evolve, e se non si è appreso a tollerare l’ambivalenza e la complessità delle relazioni, l’idealizzazione può continuare anche in età adulta, interferendo con la capacità di costruire legami autentici.
L’effetto paradossale: quando l’amore si costruisce su un’illusione
Chi idealizza crede di amare profondamente, ma spesso ama un’immagine, non la persona. Questo rende difficile la costruzione di un rapporto equilibrato.
L’altro, sentendosi messo su un piedistallo, può percepire una pressione implicita: quella di non deludere, di essere all’altezza, di rispondere a un ideale che non ha scelto.
E, allo stesso tempo, chi idealizza è destinato a una forma sottile di frustrazione: prima o poi, la realtà emergerà con i suoi limiti, e l’immagine idealizzata inizierà a mostrare crepe.
A quel punto, la delusione può assumere proporzioni dolorose, alcune persone reagiscono svalutando completamente l’altro, in un passaggio repentino dall’idealizzazione alla denigrazione.
Altre, invece, cercano di mantenere in piedi l’illusione, giustificando comportamenti problematici o negando evidenze scomode. Entrambe le reazioni impediscono una relazione vera, fatta di reciprocità, confronto e libertà emotiva.
La relazione di coppia: terreno fertile per l’idealizzazione
L’ambito sentimentale è forse quello in cui l’idealizzazione si manifesta con maggiore frequenza. Nelle fasi iniziali di una relazione, è fisiologico vedere l’altro attraverso una lente positiva. Si è spinti dal desiderio di connessione, dall’entusiasmo della scoperta e da un forte coinvolgimento emotivo. Tuttavia, se con il tempo non si riesce a integrare anche gli aspetti più ordinari o scomodi dell’altro, il rapporto rischia di fondarsi su un’immagine irreale.
Chi idealizza in modo eccessivo il partner tende a interpretare ogni gesto come conferma delle proprie proiezioni. Un silenzio diventa profondità, un difetto viene scambiato per eccentricità. Si collezionano indizi che confermino il mito, ignorando quelli che lo smentiscono. Alla lunga, però, questo atteggiamento impedisce qualsiasi vera intimità: non si ama una persona reale, ma un costrutto mentale.
Il legame con l’autostima
Idealizzare gli altri può anche essere un modo per sostenere un’immagine positiva di sé. Amare qualcuno che appare brillante, sicuro, carismatico può generare un senso di autovalore riflesso. “Se lui/lei sceglie me, allora anch’io valgo”.
In questo caso, la stima dell’altro viene utilizzata come stampella per rafforzare la propria. Ma una dinamica di questo tipo è destinata a mostrare fragilità. Basta un rifiuto, un momento di crisi o un confronto scomodo perché l’intero impianto crolli.
Chi costruisce la propria sicurezza interiore attraverso l’ammirazione per un altro corre il rischio di perdere il proprio baricentro ogni volta che quella figura idealizzata vacilla. È per questo che, nei percorsi terapeutici, l’elaborazione dell’idealizzazione è spesso legata al lavoro sulla propria autostima e sull’autonomia emotiva.
Idealizzare come difesa
In certi casi, l’idealizzazione è una difesa contro la paura della vulnerabilità. Se si tende a temere il rifiuto, il giudizio o l’abbandono, costruire un’immagine idealizzata dell’altro può servire a mantenere la relazione in una zona rassicurante, anche quando questa non è realmente soddisfacente.
È come se si preferisse restare nella fantasia di un legame perfetto, piuttosto che affrontare il rischio di una relazione imperfetta ma autentica. Questo meccanismo può manifestarsi anche nella frequentazione di figure percepite come inarrivabili: persone carismatiche, autorità, personaggi pubblici. L’idealizzazione, in questi casi, svolge la funzione di rifugio. Si fantastica su una connessione che, proprio perché non reale, non può ferire.
Come spezzare il meccanismo
Uscire dall’idealizzazione non significa rinunciare a vedere il bello negli altri. Significa imparare a vedere il bello insieme ai limiti, senza che l’uno escluda l’altro. Le persone non si amano nonostante i difetti, ma anche con i difetti. Solo integrando luci e ombre è possibile costruire legami maturi, capaci di resistere al tempo e alla realtà quotidiana.
Un passo fondamentale è quello dell’autoconsapevolezza, ossia bisogna chiedersi: sto vedendo questa persona per ciò che è, o per ciò che vorrei che fosse? Mi sento libero/a di essere me stesso/a nella relazione, o sto cercando di conformarmi a un ideale che ho costruito nella mia mente? Ho bisogno che l’altro sia perfetto per sentirmi al sicuro?
Non è facile rispondere con onestà, ma è l’unico modo per rientrare in contatto con il proprio mondo emotivo, spesso più esigente e affamato di quanto si pensi.
Infine, se l’idealizzazione diventa una costante, se si ha la sensazione di attrarsi sempre persone “brillanti” che poi deludono, o se si fa fatica a costruire legami stabili e autentici, può essere utile rivolgersi a uno psicologo.
Non per farsi dire “smettila di idealizzare”, ma per comprendere da dove nasce questo bisogno. Spesso dietro c’è una storia di insicurezze, di affetti carenti o di aspettative interiorizzate.
Comprenderle, riconoscerle e lavorarci permette di liberarsi da uno schema che, pur sembrando protettivo, rischia di tenere lontani dagli altri e da sé stessi in modi più sottili di quanto si creda.