Uno dei dibattiti più interessanti nel settore della psicologia è quello che si domanda se esista una correlazione tangibile tra il livello di istruzione di una persona e la sua capacità di percepire un forte significato nella sua esistenza. Le vite delle persone più intelligenti ed istruite sono in qualche modo più dense di significato?
La psicologa Tatjana Schnell e la collega Bernadette Vötter, entrambe membri dell’Università di Innsbruck, hanno svolto in proposito alcuni interessanti esperimenti, raccontati nel libro della dottoressa Schnell “The Psychology of Meaning in Life”.
Le due studiose hanno messo a confronto tre gruppi di persone, distinte in base a specifiche caratteristiche:
- il primo gruppo era composto da membri del Mensa, un’associazione internazionale della quale possono far parte solamente persone con un QI di almeno 130
- il secondo gruppo era invece formato da individui che avevano raggiunto nella loro vita risultati particolarmente alti, come ad esempio voti eccellenti nei loro dottorati di ricerca
- il terzo gruppo includeva persone selezionate casualmente
Messi di fronte a test e domande per capire quale fosse la significatività della vita che avevano sperimentato, il primo gruppo di iscritti al Mensa ha sorprendentemente ottenuto i risultati più bassi. È stato invece il secondo gruppo (probabilmente comprendente anche persone particolarmente intelligenti) quello a raggiungere i risultati migliori in tal senso.
Come si spiega la differenza tra questi due gruppi?
Una spiegazione plausibile – a supporto tra l’altro della tesi per cui un’istruzione superiore possa accrescere la percezione del significato nella vita – è che i membri del secondo gruppo abbiano affrontato con successo le sfide proposte durante i loro percorsi di studio. Risultati indipendenti hanno infatti dimostrato che affrontare con buoni esiti le sfide può migliorare in modo decisivo il significato della vita percepito.
I membri del gruppo Mensa spesso non si sono invece sfidati così tanto: oltre a non essersi sentiti particolarmente messi alla prova dai loro studi, non hanno nemmeno ricercato altri obiettivi (accademici o meno) sufficientemente impegnativi per loro. Pur brillanti insomma non hanno realmente sfruttato le loro doti.
Al contrario, per ottenere il successo che hanno ottenuto, i membri del secondo gruppo hanno dovuto mostrare risolutezza, determinazione, volontà e concentrazione, tutte qualità note per la loro capacità di migliorare il senso della propria esistenza. I risultati del test vedono inoltre i membri del gruppo Mensa alle prese con un’altra sensazione di difficile gestione: quella di aver sprecato le loro capacità. Pur in possesso infatti di potenzialità di cui altri non disponevano, non le hanno impiegate davvero, andando ad inasprire l’idea di una bassa significatività del loro percorso. Ad un livello addirittura inferiore a quanto riportato dal terzo gruppo di persone selezionate in maniera random.
Cosa si può evincere da questo esperimento?
Innanzitutto che esistono indicazioni empiriche del fatto che alcune persone, seppur estremamente intelligenti, sperimentano un’inferiore significatività della loro vita rispetto a individui con un minore quoziente intellettivo. I test eseguiti non indicano però, come potrebbe ipotizzarsi, che le persone con maggiore intelligenza si sentono più sfiduciate rispetto al senso della vita perché formulano le classiche domande dalle ardue risposte, come “Perché siamo qui?” oppure “Qual è il mio posto nell’universo?”. Né tantomeno è grazie alla loro intelligenza se questi individui si rendono conto della mancanza di un vero significato ultimo dell’esistenza.
Più probabilmente i membri del gruppo Mensa con alto QI sperimentano un più scarso senso della vita semplicemente perché non affrontano le sfide come le affrontano i membri degli altri gruppi: non si impegnano per realizzare appieno il loro potenziale, sono meno focalizzati sui loro risultati, non provano a vivere con intensità ed intenzionalità ed hanno più ragioni per convincersi di non usare al meglio il tempo a loro concesso. I membri del secondo gruppo sono comunque persone definibili intelligenti, non solo però per una mera misurazione del loro QI, bensì per i successi che sono in grado di ottenere. Oltre a dimostrare le loro abilità mentali, lavorano sodo per muoversi verso i loro obiettivi, superano le sfide e raggiungono l’eccellenza che desiderano, vivendo mediamente la vita come più significativa rispetto ai componenti degli altri due gruppi.
Questo semplice ma non banale esperimento psicologico supporta completamente una convinzione derivante dalla saggezza popolare: rimboccarsi le maniche per puntare ad obiettivi stimolanti è un aspetto incredibilmente importante per una vita piena di significato. Astenersi da ciò e “prendersela comoda” invece pone in uno stato psicologico che porta a percepire la propria vita come non sufficientemente carica di senso.