Una delle problematiche che sta affliggendo tutti coloro che vivono la modernità è la nomofobia. La nomofobia indica il bisogno di restare sempre connessi, di avere sempre il telefono vicino a sé, senza riuscire a staccarsi mai dal proprio smartphone.
Non è solo una questione di dover guardare spesso le notifiche, rispondere ai messaggi su Telegram e WhatsApp, guardare dei video sui social network. Si tratta di un gesto quasi automatico che nasconde il bisogno di avere il telefono sempre in mano o sempre a vista.
E quando il telefono non è connesso alla rete o semplicemente non lo si ha vicino, si inizia a provare un senso di ansia e di paura: questo sentimento caratterizza chi soffre di nomofobia.
Cos’è la nomofobia: quando la separazione dal telefono genera ansia
Nella vita di tutti i giorni, sembra normale quasi “dipendere” dagli smartphone. Sono strumenti che organizzano le giornate, sostituiscono l’orologio, il calendario, persino parte delle relazioni sociali. Tuttavia, per alcune persone, l’assenza del dispositivo non è una semplice seccatura: scatena ansia, irrequietezza, tachicardia, difficoltà di concentrazione.
Quando si soffre di nomofobia si provano sensazioni quali:
- Il solo pensiero di aver dimenticato il telefono provoca agitazione.
- Si controlla il dispositivo in modo compulsivo, anche senza notifiche.
- Si evita di uscire se il telefono è scarico o non c’è rete.
- Le attività sociali vengono trascurate per restare online.
- La batteria scarica o l’assenza di segnale genera un senso di panico.
Questi segnali sono simili a quelli che osserviamo nelle dipendenze comportamentali, dove l’oggetto in sé (in questo caso il telefono) diventa uno strumento per regolare emozioni, riempire vuoti o evitare il contatto con sensazioni spiacevoli.
Cosa c’è dietro la nomofobia?
Spesso si tende a banalizzare il problema, riducendolo a un’abitudine o a una questione generazionale. In realtà, la dipendenza da smartphone affonda le radici in bisogni psicologici più complessi: senso di appartenenza, controllo, bisogno di rassicurazione.
Il fenomeno si manifesta con maggiore intensità tra gli adolescenti e i giovani adulti, fasce d’età in cui l’identità si costruisce anche attraverso la percezione di essere “connessi” al gruppo. Tuttavia, sempre più spesso il problema coinvolge anche adulti che faticano a staccarsi dal dispositivo, soprattutto in contesti sociali o lavorativi dove essere reperibili è percepito come una necessità costante.
La paura di “perdersi qualcosa” (quella che viene definita FOMO, Fear of Missing Out) gioca un ruolo importante. È una delle leve principali che alimenta il controllo continuo delle notifiche, la sensazione di non poter spegnere mai del tutto il telefono.
Strategie concrete per gestire la dipendenza
Non esistono soluzioni universali, ma è possibile intervenire con piccoli cambiamenti che, nel tempo, riducono l’impatto di questa dipendenza. In genere, si deve sempre di partire da un punto semplice: osservare il proprio comportamento, senza giudizio.
Chi si riconosce nei meccanismi della nomofobia può provare a:
- Introdurre momenti specifici della giornata in cui il telefono viene spento o lasciato in un’altra stanza.
- Evitare l’uso del dispositivo nei pasti e nei momenti di socialità reale.
- Sfruttare le impostazioni dei telefoni moderni che monitorano il tempo di utilizzo e inviano avvisi quando si supera una soglia stabilita.
- Coltivare attività che non prevedano l’uso della tecnologia: lettura, sport, contatto con la natura.
- Allenare la capacità di tollerare la noia e i momenti di silenzio, spesso colmati automaticamente con lo smartphone.
È un percorso graduale. La dipendenza da telefono raramente si risolve con gesti drastici. Serve costanza e, nei casi più complessi, può essere utile un supporto psicologico mirato, per comprendere quali bisogni emotivi si stanno soddisfacendo attraverso l’uso del dispositivo.
Rimettere il telefono al suo posto
Il punto non è demonizzare la tecnologia, infatti, il telefono resta uno strumento utile, spesso indispensabile. Ma dovrebbe restare uno strumento, non diventare il perno attorno al quale ruotano le giornate. Riconoscere quando il confine viene superato è già un primo passo. Da lì si può costruire un nuovo equilibrio, dove la connessione più importante resta quella con sé stessi e con il mondo reale, non con lo schermo.