Le allucinazioni sono, fortunatamente, piuttosto rare. Ma, come suggerisce un nuovo studio, la vera domanda che dovremmo farci non è perché alcune persone occasionalmente le sperimentino, bensì il motivo per cui la maggior parte delle persone non le avvertano.
Nella ricerca, condotta dai neuroscienziati della Stanford University School of Medicine, gli analisti hanno stimolato le cellule nervose nella corteccia visiva dei topi per indurre un’immagine illusoria nella mente degli animali. Hanno così dedotto che avevano bisogno di stimolare un numero sorprendentemente piccolo di cellule nervose, o neuroni, per generare la percezione, tale da condurre poi i topi a comportarsi di conseguenza in un modo specifico.
“Già nel 2012 avevamo descritto la possibilità di controllare l’attività di neuroni selezionati individualmente in un animale sveglio e vigile”, ha detto Karl Deisseroth, professore di bioingegneria e di scienze psichiatriche e comportamentali. “Ora, per la prima volta, siamo stati in grado di far avanzare questa capacità di controllare più cellule e far percepire ad un animale qualcosa di specifico che in realtà non esiste veramente – e a comportarsi di conseguenza”.
Lo studio, pubblicato lo scorso 18 luglio su Science, ha evidenti implicazioni pratiche, perché potrebbe permettere di ottenere una migliore comprensione dell’elaborazione delle informazioni naturali nel cervello, così come dei disturbi psichiatrici come la schizofrenia, conducendo verso la possibilità di progettare dispositivi protesici neurali con risoluzione unicellulare.
Deisseroth, autore senior dello studio, è stato a lungo il pioniere dell’optogenetica, una tecnologia che permette ai ricercatori di stimolare particolari neuroni in animali in libero movimento con impulsi di luce e di osservare gli effetti che ne derivano sulla funzione e sul comportamento cerebrale degli stessi.
Nel suo nuovo studio, ha inserito una combinazione di due geni in un gran numero di neuroni nella corteccia visiva dei topi di laboratorio. Un gene era in grado di codificare una proteina sensibile alla luce che causava l’azione del neurone in risposta ad un impulso di luce laser di un colore strettamente definito – in questo caso, nello spettro infrarosso. L’altro gene codificava una proteina fluorescente che brillava verde ogni volta che il neurone era attivo.