Perché l’uomo è un animale sociale?
L’uomo – secondo la celebre definizione del filosofo greco Aristotele – è un animale sociale, poiché tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Ma la socialità è un istinto primario o è il risultato di altre esigenze?
Il buon Darwin affrontò la questione partendo dall’osservazione del branco. Nella lotta per la sopravvivenza ciascun animale sente il bisogno di stare vicino ai propri simili per poter ottenere aiuto e difesa. Secondo Freud, invece, l’origine dei sentimenti sociali è da ricercarsi nel sentimento di gelosia che ha per oggetto la madre e che oppone i fratelli fra loro.
Quando ciascuno si accorge di non poter prevalere su tutti gli altri si batte perché almeno ci sia uguaglianza di tutti e dominio di uno solo. Freud ritiene dunque che la giustizia sociale significhi rinunciare affinché anche gli altri vi rinuncino. Questa rivendicazione di uguaglianza forma la radice della coscienza sociale e del sentimento di dovere.
Altri studi in merito
Altri studiosi considerano la socializzazione, non un istinto a se stante, bensì un mezzo per soddisfare esigenze altre. Non si nascerebbe dunque con il desiderio di socializzare ma si imparerebbe col tempo ad essere sociali: il bambino scopre molto presto i vantaggi di stare insieme agli altri e desidera associarsi ad altri per soddisfare bisogni essenzialmente egoistici, in quanto senza l’aiuto dei suoi simili sarebbe in grado di fare ben poco, probabilmente nemmeno sopravvivere.
Una decina di anni fa, precisamente nel 2007, è stato pubblicato un interessante studio condotto dall’Università del Michigan di Ann Arbor, dall’antropologo Kevin Langergraber, su una comunità di scimpanzé del Parco Nazionale di Kibale in Uganda.
Lo scopo dello studio è stato quello di capire l’influenza dei legami di parentela sui comportamenti cooperativi tra i vari componenti del gruppo. Lo studio effettuato ha dimostrato che molti episodi collaborativi avvengono tra elementi non imparentati tra loro.
Secondo l’antropologo che ha condotto lo studio tali comportamenti sarebbero messi in atto in quanto conferirebbero benefici individuali e poco importa se l’atteggiamento collaborativo avviene con elementi non imparentati. Sarebbe quindi una ragione egoistica a spingerli a collaborare reciprocamente.
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