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Sentirsi in colpa per tutto: da cosa nasce e perché succede

Quando si parla del sentirsi in colpa per tutto, non si tratta solo di un lieve senso di colpa che ci assale quando facciamo qualcosa di sbagliato. Quindi non si tratta della colpa che dipende da un errore reale, che ha una funzione utile, ma di quella sensazione che si insinua in ogni cosa: nelle relazioni, nelle scelte personali, perfino nei pensieri.

Una colpa che non ha confini precisi e che si attiva anche quando, oggettivamente, non si è fatto nulla di sbagliato.

C’è chi si sente in colpa per dire no, chi si vergogna se si prende un momento per sé, chi non riesce a esprimere un bisogno senza provare disagio. Sono situazioni più frequenti di quanto si immagini e quasi sempre affondano le radici nell’infanzia.

Sentirsi in colpa a causa di un’approvazione condizionata

Molti di questi schemi si formano nei primi anni di vita; quindi, se un bambino cresce con il messaggio che il proprio valore dipende dal comportamento, che l’affetto arriva solo quando si è “bravi”, che l’approvazione è legata al soddisfare aspettative rigide, è facile che sviluppi un senso di colpa cronico.

Basta poco: una richiesta, un gesto spontaneo, un’opinione diversa, e quella sensazione si riattiva. Con il tempo, la persona interiorizza questo schema e la voce che giudica dall’esterno diventa una voce interna. Così, ogni volta che emerge un bisogno personale, scatta il meccanismo automatico: “Sto sbagliando”, “Deluderò qualcuno”, “Non ho diritto a pensare a me”.

Quando la colpa si estende a tutto

Il risultato è un senso di iper-responsabilità, fa sì che si arrivi a sentirsi in difetto per cose che non dipendono da noi: un litigio altrui, il malumore di una persona vicina, perfino eventi casuali.

Tutto viene interpretato come qualcosa che si sarebbe potuto o dovuto prevenire. E quando questo diventa uno schema costante, si inizia a vivere con l’ansia di sbagliare anche solo esistendo.

In terapia, si osserva spesso come questo senso di colpa pervasivo si accompagni ad altri segnali: difficoltà a mettere confini, fatica a dire di no, bisogno continuo di rassicurazioni, sensazione di essere sempre inadeguati.

La trasmissione familiare del senso di colpa

In molte storie cliniche si nota come il senso di colpa venga trasmesso di generazione in generazione. Ci sono famiglie in cui la colpa diventa un linguaggio abituale. Non servono accuse esplicite, basta una frase sottintesa, uno sguardo, un silenzio carico di aspettativa:

  • “Con tutto quello che faccio per te…”
  • “Mi stai facendo stare male.”
  • “Dovresti pensare agli altri prima che a te stesso.”

Messaggi del genere, ripetuti nel tempo, costruiscono un legame tra amore e colpa. Si cresce convinti che per essere degni bisogna sacrificarsi, che il bisogno personale è un segno di egoismo, che scegliere per sé implica far soffrire qualcuno.

Quando la colpa si confonde con l’identità

Il punto critico arriva quando il sentirsi in colpa porta la persona che ne soffre a non distinguere più tra il comportamento e il proprio valore. Non si pensa più “ho sbagliato”, ma “sono sbagliato” e questa è la forma più profonda di senso di colpa patologico, quella che mina l’autostima e blocca la crescita personale.

Chi vive così fatica a prendersi spazio, a chiedere, a fare scelte autonome. Ogni desiderio viene subito messo in discussione, anche situazioni banali, come rifiutare un invito o esprimere un’opinione, diventano fonte di disagio.

Come si esce dal meccanismo

Il lavoro psicologico su questi schemi è delicato, in quanto non basta dirsi che non si ha colpa. Serve riconoscere quando la sensazione nasce da una realtà concreta e quando è il frutto di vecchie dinamiche interiorizzate.

Si parte sempre da un’osservazione consapevole, dopo di ché si cerca di comprendere quando si attiva il senso di colpa, quali situazioni lo fanno emergere, quali sono i pensieri che lo accompagnano. Spesso si tratta di frasi automatiche:

  • “Non devo deludere nessuno.”
  • “Se mi metto al centro, sono egoista.”
  • “Non posso permettermi di sbagliare.”

Solo quando questi pensieri diventano chiari si può iniziare a metterli in discussione. Il senso di colpa, di per sé, non è da eliminare. In alcune situazioni è un segnale prezioso: ci dice che abbiamo oltrepassato un limite, che dobbiamo riparare a qualcosa, che è necessario un gesto di responsabilità.

Il problema si crea quando il senso di colpa si estende in modo generalizzato e senza confini, fino a trasformarsi in un freno costante. In questi casi, il percorso psicologico aiuta a distinguere tra colpa reale e colpa appresa, tra responsabilità concreta e senso di inadeguatezza imposto.

Liberarsi dal senso di colpa vuol dire imparare a muoversi nel mondo con più lucidità, senza doversi giustificare per il semplice fatto di esistere.

About Silvia Faenza

Ciao sono Silvia Faenza, mi sono Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università del Salento, nel 2014. Dal 2015 mi occupo della gestione dei contenuti per aziende e agenzie editoriali online, principalmente in qualità di ghostwriter, copywriter e web editor.

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